Importante messa a punto della Cassazione su poteri del CTU, limiti della consulenza tecnica d’ufficio e regime delle sue nullità

Importante messa a punto della Cassazione su poteri del CTU, limiti della consulenza tecnica d’ufficio e regime delle sue nullità
19 Dicembre 2019: Importante messa a punto della Cassazione su poteri del CTU, limiti della consulenza tecnica d’ufficio e regime delle sue nullità 19 Dicembre 2019

Con la sua importante sentenza n. 31886/2019 la Cassazione civile ha colto l’occasione di un ricorso che lamentava, fra l’altro, la nullità di una consulenza tecnica d’ufficio per un organico ripensamento in materia.

Essa si è anzitutto interrogata su quali siano i “poteri istruttori” del CTU, alla stregua di quanto previsto dall’art. 194 c.p.c., partendo dalla constatazione che, in materia, la giurisprudenza di legittimità aveva espresso tre orientamenti diversi.

Aderendo a quello più recente (Cass. civ. nn. 1020/2006, 4729/2015…), la Corte ha affermato che l’art. 194 c.p.c., laddove dispone che il CTU “se autorizzato dal giudice, può domandare chiarimenti alle parti, assumere informazioni da terzi… non può intendersi alla lettera, né essere letta isolatamente”, in particolare rispetto alle “norme che disciplinano i poteri delle parti ed il principio dispositivo (artt. 112 e 115 c.p.c.)” e da quelle “che disciplinano l'istruttoria e l'assunzione dei mezzi di prova da parte del giudice (artt. 202 e ss. c.p.c.)”, perché una simile lettura “condurrebbe ad esiti paradossali”.

Poiché quest’altre disposizioni “fissano il fondamentale principio ne procedat iudex ex officio, neque ultra petita partium, deve concludersi che le attività consentite al consulente dall'art. 194 c.p.c. incontrano due limiti insormontabili: 
a) il primo limite è il divieto di indagare su questioni che non siano state prospettate dalle parti nei rispettivi scritti difensivi ed entro i termini preclusivi dettati dal codice, altrimenti il consulente allargherebbe di sua iniziativa il thema decidendum; 
b) il secondo limite è il divieto di compiere atti istruttori ormai preclusi alle parti (come acquisire documenti dopo lo spirare del termine di cui all'art. 183, comma sesto, c.p.c.); oppure riservati al giudice (come ordinare esibizioni od ispezioni, interrogare testimoni)”.

Con riguardo a questo secondo aspetto la Corte ha osservato che se “fosse consentito al consulente tecnico d'ufficio acquisire dalle parti o da terzi documenti anche dopo lo spirare delle preclusioni istruttorie, si perverrebbe di fatto ad una interpretatio abrogans dell'art. 183, comma sesto, c.p.c.” perché “la parte decaduta dalla prova documentale, infatti, verrebbe automaticamente rimessa in termini”.

Le conclusioni che la Cassazione ne ha tratto sono le seguenti:

“- le indagini che il giudice può "commettere" a c.t.u. sono soltanto quelle aventi ad oggetto la valutazione (nel caso di consulenza deducente) o l'accertamento (nel caso di consulenza percipiente) dei fatti materiali dedotti dalle parti, e non altri… 
- i "chiarimenti" che il consulente può richiedere alle parti sono soltanto quelli idonei ad illuminare passi oscuri od ambigui dei rispettivi atti, e non possono comportare l'introduzione nel giudizio di nuovi temi di indagine
- le "informazioni" che il consulente può domandare a terzi non possono trasformarsi in prove testimoniali, né avere ad oggetto documenti che era onere delle parti depositare”.

La Corte si è poi chiesta se e in quali casi si possa derogare a tali limiti, individuando solo due possibili ipotesi, che però è lecito domandarsi se siano veramente tali.

La prima deroga ricorre quando sarebbe assolutamente impossibile per la parte interessata provare il fatto costitutivo della sua domanda o della sua eccezione, se non attraverso il ricorso a cognizioni tecnicoscientifiche. In tal caso è consentito al c.t.u. derogare con le sue indagini al principio dell'onere della prova, indagando su fatti che sarebbe stato teoricamente onere della parte interessata dimostrare”.

In questi casi però la parte adempie all’onere impostole allegando il fatto da provare e chiedendo che esso venga accertato mediante la consulenza tecnica d’ufficio “percipiente”, che diviene, in tal caso, “fonte oggettiva di prova” (Cass. civ. n. 10720/2016). Altrimenti detto, qualora il fatto costitutivo della domanda o dell’eccezione si possa provare solo con la mediazione di cognizioni tecniche o scientifiche, per adempiere all’onere della prova “è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche” (Cass. civ. n. 3717/2019).

Per cui non pare che questo caso costituisca veramente una deroga al principio anzidetto.

La seconda ipotesi, secondo la Corte, sarebbe quella concernente “i fatti c.d. "accessori" o "secondari", di rilievo puramente tecnico, il cui accertamento è necessario per una esauriente risposta al quesito o per dare riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti”, casi questi che avrebbero sicuramente meritato una riflessione più approfondita, anche al riguardo della loro effettiva ammissibilità, rispetto all’assunto, invero apodittico, che si legge nella motivazione della sentenza.

Infine, la Corte sulle conseguenze che la violazione dei suddetti principi da parte del CTU, osservando da un lato che “non v'è dubbio che molte delle nullità in cui possa incorrere l'ausiliario conservino la natura di nullità relative (l'omissione di avvisi alle parti, l'omesso invio della bozza di consulenza ai difensori delle parti; l'ammissione alle operazioni peritali di un difensore privo di mandato o di un consulente di parte privo di nomina), come tali sanabili se non eccepite nella prima difesa successiva al compimento dell'atto nullo”.

Al contrario, debbono reputarsi nullità assolute, non sanabili, “quelle consistite nella violazione, da parte del c.t.u., del principio dispositivo, commessa vuoi indagando su fatti mai prospettati dalle parti, vuoi acquisendo da queste ultime o da terzi documenti che erano nella disponibilità delle parti, e che non furono tempestivamente prodotti. Quest'ultimo tipo di nullità, infatti, consiste nella violazione di norme (gli artt. 112, 115 e 183 c.p.c.) dettate a tutela di interessi generali”.

Da queste premesse la Cassazione ha tratto il seguente principio di diritto:

(a) il c.t.u. non può indagare d'ufficio su fatti mai ritualmente allegati dalle parti; 
(b) il c.t.u. non può acquisire di sua iniziativa la prova dei fatti costitutivi della domanda o dell'eccezione, né acquisire dalle parti o da terzi documenti che forniscano quella prova; a tale principio può derogarsi soltanto quando la prova del fatto costitutivo della domanda o dell'eccezione non possa oggettivamente essere fornita coi mezzi di prova tradizionali; 
(c) il c.t.u. può acquisire dai terzi soltanto la prova di fatti tecnici accessori e secondari, oppure elementi di riscontro della veridicità delle prove già prodotte dalle parti; 
(d) i princìpi che precedono non sono derogabili per ordine del giudice, né per acquiescenza delle parti; 
(e) la nullità della consulenza, derivante dall'avere il c.t.u. violato il principio dispositivo o le regole sulle acquisizioni documentali, non è sanata dall'acquiescenza delle parti ed è rilevabile d'ufficio”.

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